giovedì 26 settembre 2013

Un articolo sul maestro Huang

Tai ji quan
Il maestro della precisione
Huang Tai Ji diffonde in Italia il metodo Hong
di Wang Yugyal

“Non si muove foglia che Dio non voglia”, dice giustamente la saggezza popolare. Il mio incontro con Huang Tai Ji 黄太极 sembrerebbe proprio avvenire sotto gli auspici del Cielo. Un Cielo che in Italia e nel mondo viene sempre più chiamato Tian 天, ovvero il vocabolo equivalente cinese, perché sempre di più sono i fuoriusciti dall’ex Celeste Impero che scelgono come meta del loro lavoro paesi esteri.
Grazie a essi, si arricchisce pure il panorama e l’offerta degli insegnanti madrelingua di arti marziali cinesi, popolarmente dette gong fu 功夫.
Il signor Huang Tai Ji non è un emigrante improvvisato, potendo vantare niente meno che il titolo di vicepresidente della Zhong Guo Hong shi tai ji quan yan jiu zong hui 中国洪式太极拳研究总会 (Associazione generale cinese di ricerca sul metodo Hong del pugilato della suprema polarità), che ha sede nella provincia dello Shandong.
Qui arrivò nel 1944 il grande maestro che ha tanto arricchito il mondo del tai ji,e al cui lignaggio appartiene Huang: Hong Jun Sheng 洪均生 (1907-1996). Usciva da quindici anni di apprendimento a Pechino con il celeberrimo rappresentante dello stile della famiglia Chen: Chen Fa Ke 陈发科 (1887-1957), e secondo l’allievo di entrambi He Shu Gan 何淑淦 (1933-)*, alla fine il loro modo di praticare il tai ji quan era identico.
Sempre dallo Shandong è partito due anni fa Huang Tai Ji, proprio con la missione di diffondere il suo stile in Italia e farlo conoscere gli italiani; “in primo luogo come metodo per la salute, in secondo per l’autodifesa”, precisa.
Il suo maestro (in cinese shi fu 师父) e suo concittadino di Zibo 淄博, Li Bao Ting 李宝廷, gli aveva infatti assegnato la presidenza della branca italiana di suddetta associazione. Da allora, Huang fa il giornalista in Italia, ma ogni giorno continua a dedicare ore alla pratica: almeno dieci ripetizioni della prima sequenza (yi lu 一路) dello stile Chen e altrettante della seconda, la cosiddetta pao chui 炮捶 (pugno cannone); due forme lunghe, cui, non bastasse, si aggiungono i vari esercizi liberi, assolutamente necessari per sviluppare pienamente l’efficacia scientifica contenuta nel metodo Hong; lo stesso pretende, ovviamente, da un allievo.
Così Huang non stai mai fermo: viaggia in treno e condiziona le mani servendosi dei finestrini e delle maniglie; chiacchiera con la gente e intanto flette le dita sensibili come antenne d’insetto, fa volteggiare le braccia flessuose come una brezza marina…
Da questi esercizi si parte per conoscere, sperimentare e acquisire abilità di alto livello al cuore del Chen, prima fra tutte il chan si jin 缠丝劲 (“forza coordinata dell’avvolgimento della seta”).
Hong Jun Sheng aveva infatti capito bene che il segreto dello stile è il movimento a spirale, in cinese luo xuan 螺旋, da osservarsi nella natura. È questo uno dei termini che Huang Tai Ji pronuncia più spesso, portando come esempio della sua didattica attenta il duplice moto rotatorio della terra, intorno al proprio asse e intorno al sole. Poi, per illustrare lo stesso concetto, coglie un ramo da terra e lo punta contro un albero, facendo notare come una vite penetrerebbe più facilmente di un chiodo nel legno del tronco; pensate infine al movimento di torsione con cui si strizza un asciugamano bagnato.
Quando insegna, il maestro Huang è precisissimo, e la cosa gli sembra del tutto normale e doverosa, ricordando costantemente il proverbio “Cha zhi hao li, miu yi qian li 差之毫厘, 谬以千里”: “Un errore minimo all’inizio causa una grande divergenza a lungo andare”.
È una fortuna che non sia ancora abituato ai compromessi richiesti dagli allievi occidentali: per mezz’ora tiene in piedi il suo giovane connazionale fintanto che gli spiega accuratamente i principi della postura, toccandolo in continuazione nei punti anatomici da correggere e facendogli sperimentare personalmente le variazioni nell’assetto corporeo.
Solo dopo introdurrà l’allievo al primo esercizio di base (ji ben gong 基本功), l’imprescindibile zheng shou quan 正手圈 (“cerchi dritti con la mano”), con le torsioni della mano verso l’interno e verso l’esterno (wai chan 外缠 e li chan 里缠) che troveremo onnipresenti nel metodo Hong.
Si tratta di posizionarsi coi piedi paralleli a una larghezza maggiore delle spalle e le ginocchia flesse (la cosiddetta “posizione a cavallo”, ma bu 马步), eseguendo cerchi con l’arto superiore che allontanano e avvicinano il gomito al costato. Segue la rotazione del braccio in senso opposto (fan shou quan 反手圈), verso l’ombelico, e poi i giri con due mani. Il tai ji quan è infatti l’arte della sfericità applicata alle articolazioni del corpo, in un movimento uniforme e integrato della massima ergonomia.
Ripetendo centinaia di volte al giorno questi esercizi, che è il modo in cui bisogna allenarsi nel gong fu, non sembrerà poi così difficile la chan si jin, essenza di quella sfericità pluridimensionale.
“Allora si riuscirà a usare la forza dell’avversario contro di lui: quando egli attacca, attacca se stesso. Pur essendo questo un fine comune delle arti marziali, nello stile Hong giunge a un livello superiore. È come scagliare un sasso contro una ruota in movimento: rimbalza. Perché, al contrario, il praticante della nostra scuola cerca sempre di esercitare la forza in avanti”.
Facendo seguire alle parole i fatti, anche quando mostra le tecniche delle sequenze, il maestro Huang non manca mai di illustrarne l’applicazione effettiva, servendosi del contatto con l’allievo e con profusione di leve; poi tocca le sue parti più coinvolte nell’azione, per sentirne il movimento di muscoli, tendini, legamenti e accertarsi che sia corretto fin nel profondo.
Così insegna un vero maestro di gong fu che vuole insegnare veramente. Infatti, nel sistema Hong ogni atto ha il suo significato che emerge palese, ha la sua misura esatta, scrupolosamente razionalizzata secondo il criterio dell’efficacia e secondo il ruolo più consono alla singola parte del corpo: i calci non sono troppo alti, mentre l’ampiezza dei movimenti con gli arti superiori va dagli occhi al basso addome; il braccio non si stende del tutto, bensì i gomiti rimangono vicino al costato (secondo lo stesso Hong Jun Sheng, già Chen Fa Ke raccomandava “Zhou bu li lei 肘不离?”: "I gomiti non lasciano le costole"). La mano sinistra si occupa della parte sinistra del corpo, e viceversa, controllando l’arto reciproco dell’avversario; lo diceva sempre Chen Fa Ke: “Zuo shou lai, zuo shou ying; you shou lai, you shou ying 左手来, 左手迎; 右手来, 右手迎”. Addirittura la spina iliaca (yao dang 腰裆) riveste grande importanza, alternando rilassamento e pressione per contribuire a gestire la forza globale (jin 劲) del corpo.
Esattamente queste peculiarità convinsero Huang Tai Ji. Aveva studiato anche il vecchio stile Chen di tai ji quan, il cosiddetto lao jia 老架 (“struttura antica”) attribuito a Chen Chang Xing 陳長興 (1771-1853), ma fu nella palestra di Li Bao Ting che si appassionò al sottostile Hong: “Cercavo un maestro, e per qualche tempo ne seguii uno che si dedicava a un sistema di percussione della pancia; sentivo quella pratica benefica per il mio corpo, ma non ero ancora soddisfatto. Quando trovai la palestra di Li Bao Ting, fui sommamente attratto dalla spiccata praticità del metodo Hong, che in breve mi conferì un benessere fisico e una capacità di padroneggiare la forza (li 力) e la sua espressione (fa li 发力) maggiori che nel lao jia”.
In effetti, la praticità è caratteristica tanto distintiva del sottostile Hong, da entrare nel suo nome originario: “metodo pratico di pugilato della suprema polarità dello stile Chen” (Chen shi tai ji quan shi yong quan fa 陈式太极拳实用拳法). Da qui i risultati ottimi, e più rapidi della media, consentiti dai suoi esercizi, che non nascondono le intelligenti applicazioni marziali e dunque hanno creato molti esperti distintisi nel tui shou 推手 (“mani che spingono”), la pratica in coppia con cui si mettono alla prova e si raffinano le tecniche del tai ji.
Qui, del resto, esprimeva il suo massimo potenziale lo stesso Hong Jun Sheng: “Ancora il giorno del suo ottantesimo compleanno”, racconta Huang Tai Ji, “shi fu Hong era seduto, e quando uno dei suoi allievi lo toccò per aiutarlo ad alzarsi, al maestro partì spontaneamente una spinta poderosa che sfruttava il movimento luo xuan e lo scagliò indietro con un’azione minima del polso”.
“A questo stato”, continua a spiegare Huang, “si giunge mantenendo una concentrazione molto elevata sia nel tui shou, sia nello svolgimento delle sequenze, pur preservando lo spirito calmo e il corpo rilassato, memori del fatto che la flessibilità vince la rigidità (yi rou ke gang 以柔克刚). Per prima cosa bisogna eliminare dalla mente tutti i pensieri accessori, e ci aiuta una respirazione profonda; poi focalizzare il pensiero sull’atto che si compie in quel momento, sempre tenendo conto dell’ipotetico avversario. Il maestro Hong riusciva perfino a completare la sequenza yi lu senza mai incorrere nel riflesso di ammiccamento”.
Per la precisione, viene citato un detto del gong fu: “Quando c’è l’altro, è come se non ci fosse; quando non c’è l’altro, è come se ci fosse (“You ren si wu ren, wu ren si you ren 有人似无人, 无人似有人”).
Sembra che Huang Tai Ji abbia assorbito non solo gli insegnamenti, ma anche la passione dei suoi diretti predecessori e in particolare del suo maestro, che dal 2000 si è dedicato esclusivamente al tai ji. Lasciata la carriera politica di funzionario dello Shandong e dopo un breve intermezzo nel commercio, Li Bao Ting diventa insegnante di arti marziali a tempo pieno, cosa tuttora non molto comune né facile in Cina.
In tal modo, testimonia Huang, l’abilità di shi fu Li è cresciuta molto, tanto che oggi riesce a padroneggiare una tecnica difficilissima: nel linguaggio aulico ed evocativo cinese, si chiama ge shan da hu 隔山打虎 (“saltare la montagna, colpire la tigre”), e consiste appunto nella capacità di trasferire la forza attraverso degli oggetti lasciandoli indenni, per colpire un oggetto più lontano; per esempio può trattarsi di una fila di persone in contatto o di una pila di mattoni.
In più, la scuola di Li Bao Ting gode della supervisione preziosa dell’ultraottantenne Meng Xian Bin 孟宪宾, il discepolo che aiutava Hong Jun Sheng a gestire le lezioni negli ultimi anni di vita del grande maestro, instaurando un rapporto affezionato con Li e non lesinando consigli.
È questa la trasmissione ereditaria giunta a Huang Tai Ji, un figlio della Cina tradizionale che la Via della Seta ha portato agli italici lidi e che, usando metafore avvincenti, è disposto a insegnare i segreti levantini per rendere un corpo umano morbido proprio come fibre seriche e forte come fili d’acciaio. “Yi rou ke gang”.
Nota * Il maestro He Shu Gan ha lasciato il "mondo della polvere" il 3 luglio 2013.
Pubblicato sulla rivista Samurai dell'ottobre 2008
Per gentile concessione dell’autore
Copyright © Wang Yugyal

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